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Processo di Canonizzazione

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MADRE MIRADIO DELLA PROVVIDENZA: UN CAMMINO DI SANTITÀ ATTUALE

 

1. STORIA DELLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE


Con lettera del 25 ottobre 2001 monsignor Agostino Vallini, Vescovo di Albano, chiedeva un autorevole parere al Cardinale José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, circa la possibilità di aprire la Causa della Serva di Dio, trasferendo il foro dall’Arcivescovo di Napoli, all’interno della cui diocesi la Serva di Dio era morta, ad Albano. La risposta del Prefetto, in data 19 novembre 2001, illustrava la prassi vigente, sottolineando in particolare la necessità di un consenso scritto da parte dell’Ordinario competente.

Con lettera del 10 dicembre 2001 monsignor Agostino Vallini chiedeva al Cardinale Michele Giordano, Arcivescovo metropolita di Napoli, di «valutare benignamente la domanda della Superiora Generale e del Consiglio Generalizio di concedere a me di condurre, a norma delle disposizioni della Sede Apostolica, la suddetta inchiesta diocesana», adducendo a sostegno di tale richiesta sia il fatto che la Serva di Dio era sepolta nella casa generalizia di Ariccia, sia il fatto che, trattandosi di una Causa storica, l’archivio dell’Istituto si trovava presso la medesima casa. Il 20 dicembre successivo, il Cardinale Michele Giordano accoglieva la richiesta del Vescovo di Albano, esprimendo parere favorevole al trasferimento di competenza.

Il 29 dicembre 2001 il medesimo Vescovo di Albano si premurava di inviare al Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi il suddetto parere. Il 21 gennaio 2002 il Cardinale José Saraiva Martins comunicava a monsignor Agostino Vallini l’accoglimento dell’istanza del trasferimento della competenza di foro dall’arcidiocesi di Napoli alla diocesi di Albano.

Stabilito ciò, il 13 febbraio 2002 suor Eufrasia Moriello, Superiora generale della Congregazione delle Religiose Francescane di Sant’Antonio, parte attrice della Causa, a norma delle vigenti leggi in materia, nominava il compianto padre Luca Michele De Rosa OFM, Postulatore generale dell’Ordine dei Frati Minori, Postulatore della Causa della Serva di Dio, chiedendo il relativo placet al Vescovo di Albano.

Legittimamente costituito, padre Luca Michele De Rosa inviava a monsignor Agostino Vallini il supplice libello per l’apertura della Causa in data 31 maggio 2002. Questi, accogliendo l’istanza del Postulatore, dopo aver ottenuto dalla Congregazione delle Cause dei Santi il prescritto nihil obstat, emanava apposito editto in data 1° novembre 2002, dopo aver nominato precedentemente due censori teologi nelle persone dei sacerdoti Marcello Bordoni e Gianfranco Poli, che presentavano i loro giudizi rispettivamente il 17 e il 31 gennaio 2003.

Nel frattempo, il Vescovo di Albano aveva chiesto, in data 23 settembre 2002, al Cardinale Camillo Ruini, nella sua qualità di presidente, di voler interpellare la Conferenza Episcopale del Lazio al fine di averne il dovuto parere in merito all’apertura della Causa. La suddetta Conferenza esprimeva parere favorevole in data 8 ottobre 2002.

In data 12 gennaio 2003, il Vescovo di Albano emanava il decreto di apertura della Causa di beatificazione e canonizzazione della Serva di Dio, nominando monsignor Felicetto Gabrielli Giudice delegato, padre Giuseppe Zane FN Promotore di Giustizia e il sacerdote don Andrea De Matteis Notaio attuario. Nella medesima data Monsignor Vallini nominava la Commissione Storica nelle persone di suor Gaetanina Nicolario, presidente, di padre Giuseppe Buffon OFM e di Ulderico Parente quali membri. Il Vescovo convocava il Tribunale e la Commissione Storica per l’apertura ufficiale dell’inchiesta, da effettuarsi nel duomo di Albano in data 1° febbraio 2003.

L’Inchiesta diocesana sulla vita, virtù e fama di santità della Serva di Dio, aperta nella cattedrale di Albano nella data suddetta, si svolse in 47 sessioni, concludendosi il 2 ottobre 2004. Nel corso di essa furono escussi 35 testi, uno solo de visu, tutti gli altri de auditu a videntibus, o semplicemente de auditu o a conoscenza di fatti relativi alla vita, virtù e fama di santità della Serva di Dio anche in seguito a studio o lettura di opere storico-biografiche o spirituali a lei pertinenti. Nel corso della XXII sessione, in data 19 giugno 2003, furono accolte dal Tribunale tre dichiarazioni extraprocessuali di Florinda Flora, di suor Imelda D’Urso e di suor Felicia Pastore (al secolo Diodata).

Nel corso della sessione XXXIX, il 2 luglio 2004, la Commissione Storica, oltre a rispondere ai quesiti predisposti dal Tribunale, provvedeva a consegnare una relazione circa le ricerche storiche ed archivistiche svolte, allegando i 757 documenti raccolti, provenienti da oltre quaranta archivi ecclesiastici e civili.

Nel corso delle sessioni XL e XLI, rispettivamente in data 7 e 10 luglio 2004, il Tribunale provvedeva ad effettuare una visita alla tomba della Serva di Dio in Ariccia e all’abitazione di Secondigliano presso la quale ella morì, riscontrando l’assenza di indebito culto nei suoi confronti.

Consegnati gli atti processuali alla Congregazione delle Cause dei Santi, il Congresso Ordinario del 13 dicembre del 2006 emetteva il relativo decreto di validità.

In data 24 febbraio 2007 veniva nominato Relatore della Causa monsignor José Luis Gutiérrez, dopo il cui ritiro la Causa veniva affidata in data 12 giugno 2009 al compianto padre Cristoforo Bove OFMConv. Dopo la sua morte, fu nominato Relatore della Causa, in data 21 gennaio 2011, monsignor Carmelo Pellegrino. Nominato quest’ultimo Promotore della Fede, in data 27 febbraio 2013 veniva nominato Relatore monsignor Claudio Iovine e, dopo pochi mesi, il in data 25 ottobre 2013 veniva nominato nuovo Relatore della Causa padre Zdzisław J. Kijas OFMConv.

Nel frattempo, al posto del compianto padre Luca Michele De Rosa, scomparso il 25 aprile 2009, veniva nominato Postulatore della Causa padre Giovangiuseppe Califano OFM, Postulatore generale dell’Ordine dei Frati Minori.

La Causa, come si può constatare facilmente, è iniziata molti anni dopo il limite previsto dalle norme vigenti. Il ritardo dell’avvio della Causa è dovuto a varie ragioni e non va attribuito a dolo ovvero a una mancata fama di santità e di segni della Serva di Dio.

In primo luogo, bisogna ricordare che la morte della Serva di Dio intervenne nel dicembre del 1926, in un’epoca di importanti trasformazioni socio-economico e politiche in Italia. In particolare, il consolidamento del regime fascista, la successiva stipula dei Patti Lateranensi e, soprattutto, il rapido corso degli eventi che portarono allo scoppio della seconda guerra mondiale, non stimolarono le suore a prendere iniziative a favore di un riconoscimento canonico della santità della propria fondatrice.

Occorre sottolineare, poi, che le suore, all’indomani della morte della Serva di Dio, ebbero il grave problema della sua successione, essendo appena state approvate le nuove Costituzioni e dovendo consolidare, nel contesto dei nuovi rapporti tra Stato e Chiesa, molte iniziative, che poggiavano anche sull’autorevolezza della fondatrice e che ora, invece, dovevano trovare altri sostegni, anche di carattere amministrativo ed economico.

A fronte dei pochi scritti devoti di alcune suore, che avevano conosciuto direttamente la Serva di Dio e che ne ricordavano la santità di vita, che si diffusero tra gli anni Trenta e Sessanta, l’Istituto delle Povere Figlie di Sant’Antonio non aveva maturato la sensibilità culturale ed ecclesiale per dar vita a un processo canonico. Inoltre, dopo la fine della guerra e dopo la ricostruzione, quando ormai sembrava maturato il tempo per affrontare una Causa, l’Istituto dovette affrontare un’inattesa e dolorosa uscita di un gruppo di suore, che seguirono la Serva di Dio suor Leonia Milito, nel corso del 1958, nella fondazione delle Suore Missionarie di Sant’Antonio Maria Claret. Tale avvenimento non favorì l’avvio della Causa, anche se servì per richiamare l’attenzione, insieme agli inviti che provenivano dal Concilio Vaticano II, alla centralità del carisma fondativo.

Dopo la stagione del rinnovamento conciliare, che orientò la Congregazione delle Povere Figlie di Sant’Antonio a una profonda riconsiderazione della propria identità (ne è significativo esempio il cambiamento di nome), passata la stagione della crisi postconciliare, le autorità dell’Istituto incoraggiarono le ricerche storiche sulla figura della fondatrice. In particolare, alcune suore furono incaricate di svolgere ricerche storico-documentarie, che potessero far luce su tutta la vita della Serva di Dio: una più avvertita sensibilità storica consigliò di approfondire la conoscenza della fondatrice, al fine di valutare anche i momenti più complessi della sua esistenza. Questo cammino di ricerca storica durò oltre dieci anni e permise di raccogliere un’ampia documentazione, che si provvide anche a divulgare attraverso pubblicazioni, convegni, seminari di studio.

Le ricerche storico-documentarie non furono semplici e non furono neanche facili, ma confermarono, una volta giunte al termine, che la vita della Serva di Dio era stata esemplare e poteva essere proposta come modello per le religiose della famiglia francescana, ma anche per tutti gli uomini e le donne del nostro tempo.

Solo a questo punto, sulla base di una ininterrotta tradizione orale, rassodata dalla documentazione storica, le Religiose Francescane di Sant’Antonio decisero di avviare il processo canonico, i cui passaggi essenziali vengono ricostruiti dettagliatamente nella parte introduttiva del Summarium testium.

Nel 2015 la Positio è stata presentata al Relatore, che ne ha approvato la stesura.

Il 4 aprile 2017 presso la Congregazione delle Cause dei Santi ha avuto luogo la Seduta del Consultori Storici per la discussione/valutazione della Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis della Causa di Canonizzazione di Madre Miradio della Provvidenza, nostra Fondatrice. I Consultori hanno dato parere positivo sulla Positio.

Ora deve passare alla valutazione dei Consultori Teologi che dovranno esprimere il loro parere sull’esercizio eroico delle virtù di Madre Miradio e sulla sua fama di Santità.

Il parere positivo dei Consultori Storici sulla Positio di Madre Miradio è per noi e per la Famiglia Laicale Miradiana un dono e una sfida perché “i santi ci riportano sempre al cuore del Vangelo, per esserne affascinati e trasformati in ogni tempo nell’unica fedeltà a Dio e all’Uomo. La memoria di Madre Miradio della Provvidenza sia parola profetica per il nostro oggi, con le sue domande e le sue attese” (Padre Massimo Fusarelli, ofm, Anno Miradiano, Ariccia, 27 luglio 2013).

2. L’IMPORTANZA DI MADRE MIRADIO NEL SUO TEMPO

La vita della Serva di Dio si svolse in un tempo particolarmente complesso e difficile della storia contemporanea, dal 1863 al 1926, in un territorio, quello dell’Italia meridionale, che vide il passaggio epocale dal Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia fino alla crisi socio-politica e istituzionale, che seguì lo scoppio della Prima guerra mondiale, con l’avvento del fascismo. Il Mezzogiorno d’Italia visse momenti complessi anche sul piano economico e non fu risparmiato da una generale crisi, con gravi ripercussioni anche sugli assetti sociali, con effetti particolarmente rilevanti sui ceti più deboli.

Nella Chiesa e nella società del suo tempo, la Serva di Dio ebbe importanza per la testimonianza di concreta carità cristiana rivolta particolarmente nei confronti delle persone più deboli e indifese, quali erano i bambini orfani, gli ammalati, i profughi di guerra. Nel pieno dell’affermazione e poi della crisi dei regimi liberali e di fronte all’avvento di quelli totalitari, che ponevano al primo posto i valori della libertà di iniziativa economica fondata sull’individualismo e sulla legge della domanda e dell’offerta o, dall’altra parte, il culto dello Stato e la divinizzazione del leader, la testimonianza della Serva di Dio fu una dimostrazione autentica della forza e della vitalità dell’amore di Dio, gratuito e personale, con una grande e materna vicinanza ai poveri e ai sofferenti. La carità evangelica della Serva di Dio fu un’eccezionale testimonianza quotidiana di adesione radicale al Vangelo e, nell’obbedienza incondizionata alla Chiesa nei suoi legittimi pastori, ella evidenziò la forza della comunità ecclesiale italiana e della vita religiosa, in particolare, all’indomani delle dure leggi di separazione dallo Stato, attraverso le quali ai consacrati, privati della personalità giuridica, non solo vennero espropriati i beni materiali ma fu impedito pure di continuare a vivere in comunità e di accogliere novizi, prospettando per essi una progressiva e ineludibile fine. L’appartenenza alle Suore Alcantarine e poi la fondazione delle Povere Figlie di Sant’Antonio evidenziano la grande attenzione che ella ebbe ai segni dei tempi, di cui seppe cogliere le potenzialità per la vita religiosa di incidere concretamente nella società per l’evangelizzazione e la promozione della persona umana.

Peraltro, l’eccezionalità della figura e dell’opera della Serva di Dio si evidenziò anche nella prudenza con cui seppe intessere relazioni di collaborazione con le autorità civili, che si condensarono intorno ai valori della giustizia e della solidarietà, ottenendo anche da esse stima, apprezzamento, valorizzazione. In questa direzione, la sua vita contribuì, soprattutto nelle aree abbandonate in cui operò, a ridimensionare la tensione tra lo Stato e la Chiesa, fermi restando i principi, situandosi nel solco del dialogo inaugurato dal pontificato di Leone XIII. Ella, in questo senso, fu interprete efficace e credibile dell’impegno sociale cristiano, facendo proprie e sperimentando la chiamata all’azione sollecitata dal magistero pontificio con la Rerum novarum.

Nella Chiesa del suo tempo, l’azione della Serva di Dio rifulse per la testimonianza di impegno fattivo, pronto e disponibile alle indicazioni dei Pastori. L’impegno per il riconoscimento canonico fu l’esempio evidente di un attaccamento filiale e devoto alla Santa Sede e ai Vescovi nelle cui diocesi si dispiegò l’azione delle Povere Figlie di Sant’Antonio.

L’attaccamento viscerale alla Vergine, di cui fu figlia devota fin dal tempo in cui viveva ancora in famiglia, si sintonizzò sulla costante sollecitazione del magistero ecclesiastico, in particolare quello di Leone XIII, a riscoprire l’importanza primaria della venerazione alla Madonna, quale via privilegiata per incontrare e seguire più da vicino il Signore Gesù. La preghiera del Rosario, da questo punto di vista, fu l’elemento visibile di un rapporto interiore profondissimo, tanto più significativo laddove si consideri la vicinanza del suo raggio d’azione a Pompei.

La Serva di Dio fu un’autorevole interprete della fecondità del francescanesimo, in un tempo di critica rivolta alla vita religiosa: ella amò la povertà e mostrò la straordinarietà di questo amore in un tempo di corsa al profitto, di fronte al capitalismo sfrenato del XIX secolo e alle prospettive opposte del socialismo e del comunismo. La povertà, scelta per amore di Cristo, si fece vicinanza ai poveri, ma fu anche una scelta controcorrente, che richiamava la piccolezza e la fragilità della natura umana, la profonda umiltà delle persone di fronte all’onnipotenza divina e la necessità di condividere, attraverso la propria testimonianza di vita, la sorte dei più deboli.

In una società, dunque, che metteva in discussione i valori della tradizione e, in primo luogo, la centralità della fede, con un indirizzo fortemente orizzontale e razionalistico, con la critica indistinta contro la Chiesa e contro il Vangelo, con la seducente proposta del primato dell’individualismo e dell’economicismo, man mano che andava emergendo nella sua fortezza e prudenza, la figura della Serva di Dio apparve rilevante per aver riproposto, con un pieno e fiducioso coinvolgimento della sua intera esistenza, il primato delle realtà spirituali e la forza vigorosa della fede cattolica. La sua testimonianza di autentico attaccamento al Vangelo e alla Chiesa nelle persone dei suoi Pastori costituisce l’aspetto più significativo della sua esistenza, avendo rifiutato tutti gli stimoli e le persuasioni di una cultura e di un pensiero materialistico, ridotto alla mera contemplazione della realtà terrena. Lo sguardo tenacemente attaccato alle cose celesti, l’appassionata fiducia nella Chiesa e nei suoi pastori, l’amore per il Pontefice e per i sacerdoti, la tenera e materna carità verso il prossimo, l’adorazione dell’Eucarestia, costituirono un vigoroso esempio di una vita spesa interamente al servizio del Signore.

Di questa completa e totale offerta di sé, nelle forme della sua epoca, furono consapevoli molti Vescovi e sacerdoti che furono in contatto con lei e che ne lodarono le virtù, potendo constatare una perfetta congruità tra quanto professato e quanto vissuto. Molti di essi ne ammirarono la tenacia, ma furono attratti soprattutto dalla centralità della sua vita contemplativa: le fonti rivelano un’esistenza che, sulla base di una quotidiana e profonda preghiera, fu costantemente accompagnata da un apostolato caratterizzato da grande concretezza e totale disponibilità delle proprie energie spirituali e fisiche, senza risparmio e senza calcoli, specialmente ai poveri.

La Serva di Dio testimoniò con la sua esistenza un altro importante elemento della vita cristiana, cioè lo spirito di penitenza, con il quale volle richiamare l’attenzione sull’importanza della lotta al peccato, in una dimensione fondamentalmente cristocentrica. Le sue penitenze, ancorché mai esibite all’esterno, costituirono un importante richiamo a quella dimensione di comprensione del proprio peccato, che ammoniva a una valutazione più equilibrata dell’agire dell’uomo nella storia, che non marginalizzasse i comandamenti di Dio e i precetti della Chiesa.

3. ATTUALITÀ DI MADRE MIRADIO

Sono trascorsi circa novant’anni dalla morte della Serva di Dio: l’eco della sua vita e della sua opera è rimasta viva nella memoria delle sue figlie spirituali, che hanno percepito nella testimonianza della sua esistenza un modello autentico di virtù cristiane e ne hanno intrapreso l’iter per la beatificazione e canonizzazione.

Nonostante il tempo trascorso, la testimonianza di vita della Serva di Dio appare di grande attualità per molteplici ragioni. La sua testimonianza di vita risulta attuale per gli uomini di ogni condizione, con particolare riferimento ai poveri, suggerendo che bisogna accorrere là dove c’è urgenza per la promozione della persona umana. Alle sue suore suggerisce uno stile di vita improntato alla preghiera, alla fiducia nella Provvidenza, all’amore per la Chiesa e per il prossimo. Ai religiosi, con cui seppe costruire un rapporto autentico di collaborazione nell’apostolato e di condivisione di linee spirituali (legame con l’Ordine dei Frati Minori, con la Pia Famiglia della Famiglia dei Discepoli di don Giovanni Minozzi, con i Missionari dei Sacri Cuori fondati da San Gaetano Errico), ricorda la tensione alla perfezione caratteristica del proprio stato di vita. Ai Vescovi e ai sacerdoti, il cui rispetto si concretizzò in una disponibile ed efficace collaborazione, prospetta la ricchezza e la peculiarità della presenza femminile nella Chiesa. Ai laici, con cui seppe tessere un dialogo senza precomprensioni, propone l’impegno per la giustizia.

L’esempio della Serva di Dio stimola al rispetto della dignità della persona umana: il suo aiuto alle orfane, ai profughi, ai colerosi, ai poveri indica la capacità di raccogliere il grido degli ultimi. Dalla sua testimonianza di vita emerge l’attenzione alle urgenze del proprio contesto storico. Da Castellammare di Stabia a Roma, da Tocco Casauria a Carpino, da Tufara Valle a Cardito, da Rionero in Vulture a Caivano, da Barile a Sapri, da Palma Campania a Buonalbergo, da Atella a Torraca e a Secondigliano, la geografia della Serva di Dio è una geografia della povertà, con l’opzione per il Mezzogiorno d’Italia, simbolo dei tanti sud del mondo. La sua non fu una scelta di tipo sociologico, ma rispondeva ad un metodo di discernimento che ella applicava, soprattutto negli anni della maturità, e che risulta essere molto importante per i nostri tempi: preghiera per saper osservare, osservazione, preghiera per saper scegliere, scelta, preghiera per la valutazione della scelta compiuta. L’azione era sostenuta, sempre, dalla forza della preghiera: la preghiera avvolgeva l’azione, in un’intima connessione, di scaturigine di forza e di sostegno che superava ogni paura paralizzante. Nei nostri giorni, caratterizzati da un attivismo a volte sfrenato, la dimensione di una carità che scaturisce dalla contemplazione costituisce un insegnamento formidabile, che evita i rischi contrapposti dell’attivismo e della paralisi di fronte alle inevitabili difficoltà.

La vita della Serva di Dio comunica anche l’importanza della concretezza e della capacità organizzativa e direttiva; la necessità di servirsi, con prudenza e discernimento, dei mezzi del proprio tempo, finalizzandoli al servizio dei poveri; la centralità di uno stile materno di vicinanza e tenerezza; il coraggio, che non è mai temerarietà, nell’affrontare sfide difficili soprattutto per una donna, che dà pieno compimento al talento della dignità femminile, richiamata in tanti documenti pontifici degli ultimi tempi e recentemente a più riprese da Papa Francesco.

La vita della Serva di Dio esorta a percorrere fino in fondo il cammino delle virtù cristiane. Essa può inculcare la necessità della ricerca e del discernimento della volontà di Dio nel proprio contesto attraverso la preghiera e l’affidarsi alla direzione spirituale. L’ascolto disponibile degli uomini e delle donne con cui ella entrò in contatto (don Vincenzo Gargiulo, suor Maria Agnese dell’Immacolata, padre Simpliciano della Natività OFM, don Francesco Maria Carisdeo, padre Luca De Longis OFM, S.E. monsignor Alberto Costa, padre Bonaventura Pugliese OFM, don Giovanni Minozzi, padre Giovanni Semeria B, padre Natalino Russo MSCC) indica chiaramente che il progresso nella vita spirituale si compie anche con l’ascolto profondo di coloro che sono chiamati ad esercitare il difficile compito della direzione spirituale.

Il cammino di fede della Serva di Dio fu anche un percorso di fedeltà alla Chiesa: guardando a lei, i cristiani del nostro tempo, sul suo esempio, potranno amare maggiormente la Chiesa, anche nelle difficoltà, senza lasciarsi mai sopraffare dallo sconforto. La sua vita, sempre all’insegna della ricerca della volontà di Dio, suggerisce agli uomini del nostro tempo che la fede non è una conquista ma è un cammino senza soste, che consiste nel conformarsi alla volontà divina, anche quand’essa significhi accettazione della sofferenza fisica e morale. La sua vita, spesa nel completo abbandono all’amore sponsale per Cristo povero e crocifisso, costituisce una spinta all’amore di Gesù, abbandonando la propria volontà e donandosi interamente a Dio: essa insegna a non scegliere le mezze misure, a guardare in alto (duc in altum) con meraviglia, anche se questo può comportare incomprensione e sacrificio. Il mezzo proposto per comprendere la volontà del Signore è una preghiera incessante.

La fede della Serva di Dio si accompagnò sempre alla più viva speranza nella Provvidenza di Dio: la difficoltà di conformare la debole natura umana alla grandezza dei disegni divini non divenne mai in lei disperazione. Analogamente, ella non poté tollerare la disperazione negli altri e accorse senza esitazione dove c’era bisogno di ridare speranza. Nei nostri giorni, caratterizzati da tanta povertà, da masse di poveri migranti che bussano alle porte dei Paesi ricchi per fuggire dalla miseria e dalla schiavitù, l’esempio della Serva di Dio costituisce un monito a non chiudere gli occhi e, in virtù della propria professione di fede, a donare carità e speranza agli ultimi, nel nome della comune figliolanza divina. Guardando a Madre Miradio si può imparare a cercare quel magis (qualcosa di più) che concretizza e rende autentica la propria vocazione.

La vita della Serva di Dio insegna, inoltre, la capacità di perdonare e la gratitudine, il senso della giustizia e della pace, la promozione della persona umana, la prudenza come valutazione della realtà, la gestione oculata delle risorse della terra, la capacità di saper indirizzare gli sforzi e valutare le energie, il senso della felicità nella certezza radicale di un Dio misericordioso.

La dimensione francescana della spiritualità della Serva di Dio, infine, rimette al centro il carisma serafico, collocandosi in piena sintonia con la Chiesa dei nostri giorni e con la scelta di Papa Francesco di ispirarsi al carisma del Poverello d’Assisi, per una Chiesa povera e dei poveri, innestata sulla contemplazione del Cristo crocifisso, testimone autorevole della speranza e desiderosa di contribuire alla promozione della pace e della giustizia, in armonia con il creato.

Presentare a tutta la Chiesa la Serva di Dio quale modello di vita cristiana potrà costituire il riconoscimento della straordinaria dimensione di questa donna, che, in tempi difficili, ha molto sofferto ma che ha anche molto amato, seguendo la voce della propria vocazione senza mezze misure. Ella rappresenta un modello non nel senso che bisogna imitarla pedissequamente, ma nella proposta di una vita cristiana autentica, che metta sempre al primo posto Dio e, di conseguenza, il prossimo, con una maternità radicale ed essenziale, che rappresenta la dimensione più autentica del suo essere stata una donna cristiana in cammino nella storia.


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